Autore: Francesco Fuggetta
20 Luglio 2015
MONTREAL (CANADA) – Un legame finora sconosciuto tra il sistema immunitario e la morte dei motoneuroni nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA), conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig, è stato rivelato dagli scienziati del Centro di ricerca CHUM e dell’Università di Montreal. La scoperta apre la strada ad un approccio completamente nuovo per trovare un farmaco che possa curare o almeno rallentare la progressione di malattie neurodegenerative come la SLA, l’Alzheimer, il Parkinson e la malattia di Huntington.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, dimostra che nel modello animale di Caenorhabditis elegans, un minuscolo verme cilindrico lungo un millimetro, il sistema immunitario ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della SLA. “Uno squilibrio del sistema immunitario può contribuire alla distruzione dei motoneuroni e scatenare la malattia”, ha dichiarato alla rivista Science Daily Alex Parker, ricercatore del Centro CHUM e professore associato presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Montreal.
La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neuromuscolare che attacca i neuroni e il midollo spinale. Le persone colpite gradualmente diventano paralizzate e in genere muoiono in meno di cinque anni dopo l’insorgenza dei sintomi. Attualmente non esiste alcun rimedio efficace per questa devastante patologia: il riluzolo, l’unico farmaco approvato, estende la vita del paziente solo di pochi mesi.
Più di una dozzina di geni sono legati alla SLA: se si verifica una mutazione in uno di essi, la persona sviluppa la malattia. Gli scienziati hanno introdotto un gene umano mutato (TDP-43 o FUS) in esemplari di C. elegans, un verme nematode ampiamente usato per gli esperimenti genetici. I vermi divennero paralizzati in circa dieci giorni. La sfida era quella di trovare un modo per salvarli da morte certa.
“Abbiamo avuto l’idea di modificare un altro gene – TIR-1 – noto per il suo ruolo nel sistema immunitario”, ha detto Julie Veriepe, sperimentatrice capo e studentessa di dottorato sotto la supervisione di Alex Parker. I risultati sono stati notevoli. “I vermi con un deficit immunitario derivante dalla mutazione del gene TIR-1 erano in migliori condizioni di salute e hanno sofferto molto meno la paralisi”, ha aggiunto.
Questo studio mette in evidenza un meccanismo mai precedentemente sospettato: anche se il C. elegans ha un sistema immunitario molto rudimentale, questo sistema fa scattare un attacco sbagliato contro i suoi stessi neuroni. “Il verme pensa di avere un’infezione virale o batterica e avvia una risposta immunitaria. Ma la reazione è tossica e distrugge i motoneuroni dell’animale”, ha spiegato Alex Parker. È lo stesso scenario che si verifica nell’uomo? Molto probabile.
L’equivalente umano del gene TIR-1 – SARM1 – si è rivelato fondamentale per l’integrità del sistema nervoso. I ricercatori pensano che la via di trasduzione del segnale sia identica per tutti i geni associati alla SLA. Questo rende la proteina TIR-1 (o SARM1 nell’uomo) un eccellente bersaglio terapeutico per lo sviluppo di un farmaco. SARM1 è particolarmente importante perché è parte del noto processo di attivazione della chinasi, che può essere bloccato dai farmaci esistenti.
La squadra di Alex Parker sta già testando attivamente i farmaci che sono stati precedentemente approvati dalla Food and Drug Administration per il trattamento di disturbi come l’artrite reumatoide, per verificare se funzionano con la SLA. Rimangono ancora degli ostacoli, tuttavia, prima di trovare un rimedio per curare o rallentare la progressione della sclerosi laterale amiotrofica.
“Nei nostri studi con i vermi, sappiamo che l’animale è malato perché abbiamo causato la malattia. Questo ci permette di amministrare un trattamento molto presto nella vita del verme. Ma la SLA è una malattia dell’invecchiamento, che negli esseri umani appare di solito intorno ai 55 anni. Non sappiamo se un potenziale farmaco si dimostrerà efficace, se viene somministrato solo dopo la comparsa dei sintomi”, ha concluso Alex Parker. “Ma abbiamo chiaramente dimostrato che, nei vermi, bloccare questa proteina chiave frena il progresso della malattia”.